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red
Utente Master


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Inserito il - 11/04/2011 : 09:09:26  Mostra Profilo Invia a red un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Venerdì al largo di Pantelleria la Guardia costiera ha arrestato tre scafisti tunisini che per seminare gli inseguitori avevano costretto cinquanta “passeggeri” a buttarsi in mare. Non si trattava di “mors tua vita mea”: era immaginabile ch...e li avrebbero inseguiti e comunque presi. Eppure quelle donne e quegli uomini avranno pregato, avranno guardato gli aguzzini negli occhi prima di buttarsi. Nei giorni dell’emergenza a Lampedusa, obiettivi e telecamere hanno portato nelle nostre case quegli occhi, persi nella desolazione dei rifiuti e degli accampamenti di fortuna, in attesa di una sorte che promette solo altro dolore.
Noi trattiamo i disperati che scappano verso l’Europa come cose che si possono gettare in mare, trasportare come pacchi, ridurre a barzelletta, slogan o macchietta para-elettorale. Tipo il Nobel per la Pace, ma ci sarà presto qualche trovata per distrarre l’attenzione dallo sguardo addolorato diquesta gente . Intanto la villa è stata acquistata, il premier ha detto: “Sarò lampedusano”. Li ospiterà lui tutti i nipotini di Mubarak in fuga da guerra e povertà.
Anche Enea, mitico padre della civiltà romana, scappava da una città assediata: Troia. E anche lui era diretto in Italia, quando una terribile tempesta lo fece naufragare dalle parti di Cartagine. “Arma virumque cano” (canto l’armi e l’eroe): ci ricordiamo più o meno questo dell’inizio dell’Eneide. Ma Virgilio nei versi successivi racconta chi è Enea: “Profugo per fato”, “perseguitato per terra e per mare dall’ira degli dei”. Anche allora, un “mare seminato dai cadaveri” e “sulla sabbia corpi che grondano mare”. Dalle coste d’Africa a quelle d’Italia, in questa secolare alta marea, qualcuno si è perso. Molti uomini, risucchiati dall’acqua e oggi anche il sentimento dell’uomo: la pietas – che accompagna Enea oltre le pagine dei libri di scuola – non la riconosciamo più. Una ventina di secoli dopo stessa spiaggia, stesso mare, stessi morti. Abbiamo guadagnato campi da golf e casinò, ville e freddure di pessimo gusto. Né Lampedusa né l’Italia possono accogliere la disperazione del mondo intero, ma nemmeno fare spallucce, liquidando la questione con il disprezzo del razzismo: la vendetta degli dei bisognerebbe continuare a temerla, come ai tempi di Enea.
In “Natale di seconda mano”, De Gregori raccoglie il canto degli ultimi: “Sior capitano aiutaci a attraversare questo mare contro mano/ Sior capitano, da destra o da sinistra non veniamo e questa notte non abbiamo/governo e Parlamento non abbiamo…”. Invece noi il governo e il Parlamento li abbiamo, sono ugualmente contro mano, ma non c’è verso di riprendere una diritta via. Un ministro può intimare al tormento degli immigrati “fora da i ball” e il massimo che succede è qualche articolo sul giornale. È la favola del folklore leghista, che invece è pericoloso rancore di cui tutti, da Bolzano a Lampedusa, dovremmo vergognarci profondamente. Alla fine, ecco il bilancio: gli unici naufraghi degni di interesse sembrano essere quelli dell’Isola dei famosi.
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