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 SPARLIAMONE
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 Il falso rispetto della diversita'

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
red Inserito il - 01/09/2011 : 16:08:03
Antonio è il più piccolo dei figli di Alfonso e Mafalda. E’ il quinto, ha solo tre anni, è nato dopo tanto tempo, quando ormai Mafalda pensava di essere troppo vecchia, con i suoi trentasei anni, per avere una altra gravidanza. Bruno, il primogenito era già padre di due bambine; Leonardo, il secondo, viveva lontano, di lui avevano poche notizie e quelle che arrivavano non erano mai buone.
Michele e Diego, rientravano in casa sempre più tardi, cosa facessero e dove trascorressero le giornate, Mafalda poteva immaginarlo, ma non riusciva, non era mai riuscita, a trattenerli. Quattordici e dieci anni, sono pochi per essere padroni della vita, per essere capaci di seguire le regole e per non correre il pericolo di rimanerne schiacciati.
Poi quella gravidanza inaspettata e la nascita di quel piccolo bambino, tanto più piccolo degli altri.
Quella sua creatura la avrebbe tenuta lontana dai pericoli, dalla sporcizia, dalla violenza di quel suo mondo, a quel piccolo bambino non avrebbe permesso di farsi male.
Antonio ha tre anni, non parla, non sa camminare si muove a piccoli passi sulle punte, ha paura di tutto:del sole, dei rumori della strada, delle voci, e Mafalda non lo fa avvicinare da nessuno.
Mafalda e la sua famiglia sono Rom, vivono da due anni in un appartamento, che hanno occupato una notte, alla periferia di Catania. Sotto il loro palazzo, c’è un grande mercato, la gente cammina, fa la spesa, guarda e sceglie frutta, ortaggi, scarpe e giornali, con attenzione. Nessuno sembra essersi mai accorto di quei bambini, nessuno ha mai incrociato lo sguardo di Antonio; Michele e Diego dovrebbero andare a scuola, ma nessuno li ha mai iscritti, scivolano nel quartiere, invisibili, tra le vetrine e i cartelloni che pubblicizzano una marca di yogurt ed una vacanza esotica.
Una vita può essere difficile, dura, ma è insopportabile se non ha alcun significato per gli altri, se non esiste, non ha senso di essere vissuta.
Nel non riconoscimento dei problemi dell’altro, c’è il seme dell’immoralità, della chiusura della conoscenza, della paura di rimanere coinvolti in un dolore che vogliamo tenere lontano e che spesso, troppo spesso, tolleriamo giustificandolo con il falso rispetto della diversità “Sono zingari, hanno la loro cultura, le loro regole” e giriamo la testa.

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