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V I S U A L I Z Z A D I S C U S S I O N E
nuccio caruso
Inserito il - 14/10/2009 : 21:40:56 REGGIO CALABRIA: LA FIGLIA DEL BOSS SI SPOSA IN CATTEDRALE. E IL PAPA INVIA LA SUA BENEDIZIONE
35232. REGGIO CALABRIA-ADISTA. Durante un matrimonio, la lettura in chiesa di un telegramma del papa che augura agli sposi ogni bene ed impartisce la sua “apostolica benedizione” è un fatto piuttosto consueto. A destare stupore, ed una qualche eco sulla stampa nazionale è stato il fatto che all’inizio di ottobre, nella cattedrale di Reggio Calabria, le parole di felicitazione di Benedetto XVI siano state trasmesse dal parroco di Archi, don Roberto Lodetti, a Caterina Condello e Daniele Ionetti: la prima, è la figlia di Pasquale Condello, ritenuto il capo della ‘ndrangheta reggina; il secondo, è il figlio di Alfredo Ionetti, ritenuto il tesoriere della cosca.
“Increscioso e deplorevole” fatto, ha commentato il settimanale diocesano l’Avvenire di Calabria (6/10) che si è subito preoccupato di sottolineare che né l’arcivescovo di Reggio mons. Mondello, né - tantomeno - il papa sapevano nulla sui discutibili destinatari della missiva. La prassi vuole che quando gli sposi desiderano ricevere un telegramma o una pergamena del papa ne fanno richiesta al parroco, o ad un prete di loro conoscenza, il quale trasmette la richiesta all’ufficio matrimoni della Curia. Da lì la richiesta viene inoltrata in Vaticano, all’Ufficio Pergamene della Elemosineria Apostolica. “In questo caso - come ha spiegato l’Avvenire di Calabria - è accaduto che un parente degli sposi, che conosceva un sacerdote reggino, ha preso lui l’iniziativa di chiedere a nome degli sposi il telegramma del Papa. Il sacerdote, in tutta buona fede, credendo di fare un dono agli sposi, come del resto aveva fatto senza inconveniente alcuno molte altre volte, ha pregato lui stesso l’incaricato dell’ufficio della Curia di inoltrare la richiesta del telegramma. Né il sacerdote, né tanto meno l’incaricato della Curia, hanno prestato attenzione a nomi e cognomi, anche perché una miriade di gente pulitissima porta un cognome che appartiene anche a persone che possono far parte di una cosca mafiosa. Così è stato fatto e il telegramma - come accade di prassi - è pervenuto ed è stato letto agli interessati”. “Data la complessità del mondo di oggi - ha ammesso però il settimanale diocesano - e il groviglio di problemi nei quali ci si può trovare coinvolti senza volerlo, è necessario esercitare sempre, perfino esageratamente, la virtù della prudenza”. Così, d’ora in poi, ha annunciato l’Avvenire di Calabria, sarà il Vicario generale dell’Arcidiocesi reggina ad avocare a sé la trattazione di ogni richiesta di benedizione papale.
Più che stupirsi del telegramma, ci sarebbe da chiedersi come mai la Curia reggina abbia dato il via libera alle nozze in cattedrale di due rampolli di un potentissima ‘ndrina calabrese. Difficile pensare, come afferma il settimanale diocesano riguardo al telegramma papale, che non si sia prestata attenzione ai cognomi dei due sposi. Anche perché Caterina Condello e Daniele Ionetti sono cugini di primo grado ed il diritto canonico (art. 1091) consente un matrimonio tra consanguinei solo con motivata dispensa richiesta dal parroco e sottoscritta dal vescovo. Condello, poi, non è un nome qualsiasi a Reggio: si tratta infatti di una famiglia che domina incontrastata da oltre 25 anni nella città dello Stretto, protagonista della più sanguinosa guerra di mafia consumata in Calabria con quasi mille morti ammazzati tra il 1985 e il 1991, dopo la quale il cartello formato dalle famiglie Condello-Imerti e una serie di altre famiglie mafiose ha prevalso su quello dei De Stefano-Tegano. In seguito a quella stagione di sangue Pasquale Condello divenne padrone indiscusso di Messina e uomo “di peso” nell'intera regione. Lo dice bene il suo soprannome, “U’ Supremu”, dovuto all’infallibilità delle sue sentenze di vita e di morte all’interno della cosca. La sua parola è legge. Ha gestito traffici di droga tra sud America e nord Italia per vedere la sua potenza attenuarsi solo con l’arresto, avvenuto nel 2008, dopo 18 anni di latitanza. Era ricercato infatti dal novembre del ‘90 e il 7 luglio del ‘93 le sue ricerche erano state diramate anche in campo internazionale. Deve scontare (sentenza definitiva) 4 ergastoli e 22 anni di reclusione per omicidio, associazione mafiosa ed altro...
“U’ Supremu” è sposato con Maria Morabito ed è padre di tre figli: Angela, 24 anni, Domenico Francesco, di 20, e Caterina appunto, di 18 anni. Il nome di Caterina, tra l’altro, fu lo scorso anno più volte sui giornali perché presso il tribunale dei minori fu intentata una causa per la revoca della potestà genitoriale alla madre della ragazza (quella del padre, condannato con sentenza definitiva a 4 ergastoli e 22 anni di carcere, era già automaticamente decaduta). La “famiglia” ha un valore fondamentale per la ‘ndrangheta, scriveva il Ros dei carabinieri nella richiesta di revoca: “Il vincolo di sangue rappresenta una delle caratteristiche principali, laddove la compattezza, la coesione e l’elevato numero di sodali, costituiscono un forte sbarramento alle ingerenze esterne. In tale contesto, infatti, sono inquadrabili anche i cosiddetti matrimoni concordati tra esponenti di diverse famiglie mafiose, che rappresentano un indissolubile patto di alleanza, ove i figli costituiscono un mero strumento dei padri, nel quadro dell’ampliamento del potere mafioso”. Insomma, in caso di matrimoni tra esponenti delle ‘ndrine, anche la libera volontà dei contraenti deve spesso soggiacere alla “ragion di Stato”. E di legami sentimentali vincolati alle alleanze tra famiglie c’era già stato un esempio in casa Condello, stando almeno a quando scritto da Maria Morabito in una lettera spedita ad un’amica nel 2003 che i carabinieri hanno sequestrato a Cesena, in casa di Alfredo Ionetti, al momento del suo arresto, nel 2008. Si trattava in quel caso dell’altra figlia femmina, Angela: “Cara Anna (...) mia figlia ha dovuto lasciare un bel ragazzo solamente perché, nel passato, alcuni suoi parenti erano nemici di mio marito (...) Non c’è stato niente da fare, hanno dovuto smettere (...) Avevo sperato in un futuro migliore per mia figlia, che sarebbero stati bene insieme. (...) Ma dobbiamo portare la nostra croce…”. (valerio gigante)